Cari amici, cari professori, care famiglie,
buongiorno, bonjour, kalimera, salam aleikum,
Ci è stato chiesto di pronunciare un discorso di chiusura per questa cerimonia che segna la fine del cammino che, insieme, abbiamo percorso in questi due anni. Perciò eccoci qui a cercare di tirar le somme di un cammino che tra alti e bassi, momenti più o meno spensierati o particolarmente faticosi, ci ha visti condividere, sempre insieme, mai da soli, le differenti fasi di un viaggio, intellettuale, indubbiamente, e fisico allo stesso tempo.
Mi piace pensare, infatti, che questi due anni di studio siano stati proprio questo: un grande viaggio. Tra le aule di via Zamboni e i portici di Bologna abbiamo vissuto il nostro primo anno, e qui ci ritroviamo, ancora oggi. Nel frattempo, i nostri percorsi si sono divisi: qualcuno è partito verso le mitiche terre della Grecia, io - insieme a Paul e a Francesco - ci siamo imbarcati in un’avventura indimenticabile sotto i soli d’Africa, qualcun altro è stato in Francia, magari riscaldandosi coi vini tradizionali per contrastare il gelo alsaziano.
Questi nostri percorsi, così variegati, ma per certi versi molto simili, hanno consentito di arricchire il nostro bagaglio di elementi preziosi: un arricchimento umano, prima ancora che intellettuale. Dico per certi versi molto simili perché ogni singola esperienza ha significato l’allontanamento da casa, lo spaesamento, una nuova quotidianità, magari inizialmente difficile da acquisire. Una quotidianità che però alla fine arriva, e ti lascia osservare, e guardi tutto quello che ti sta attorno, non con diffidenza ma con la consapevolezza di farne parte, anche solo per poco tempo. Immergersi in un’altra cultura, riuscire ad apprezzarne i particolari. Marcel Proust scrive: ”Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Credo che questo pensiero possa in qualche modo esprimere con pienezza cosa è stato per me, per noi, il nostro percorso. Tornare a casa e avere “nuovi occhi”, questa è stata la parte più bella. Tornare a casa e non sentirsi più gli stessi, sentirsi arricchiti, cambiati.
E adesso eccoci qui. Immagino che anche voi - a parte la mia incredibile tensione - stiate provando quello che provo io: orgoglio e appagamento, soddisfazione, un inizio di nostalgia forse, e una forte speranza per il futuro. Altri viaggi, nuove strade si profilano davanti a noi. Quelle più difficili probabilmente, perché strade di un futuro a noi ancora ignoto. Rotte da seguire, senza sapere come va a finire, con un’unica certezza: conoscere le proprie inclinazioni e farsi guidare da queste come da una bussola.
Concluderei quest’intervento con un componimento di Edgar Lee Masters, George Gray, dall'Antologia di Spoon River:
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto. In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrí e io mi ritrassi dal suo inganno; il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura; l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre alla follia ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio —
è una barca che anela al mare eppure lo teme.
Buon vento, cari colleghi.
Et, comme on dit au Sénégal, Nio Farr, On est ensemble. Grazie, merci, efcharisto, dieureudieuf.
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